Recensioni
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MORIRE@Teatro Stanze Segrete: l’amore ottocentesco fino al suo disfacimento di A. Schnitzler
regia e adattamento di Carlo Studer
Di: Antonio Mazzuca | pubblicato il: 13/11/2015 | categoria: RECENSIONI RM
regia e adattamento di Carlo Studer
Il personaggio di Maria viene interpretato da una splendida Federica Gumina, che conferma la bravura recitativa, la costanza dei gesti e l’espressività studiata e calibrata, già manifestati nella Ofelia dell’Amleto dell’anno scorso. La sua performance è un crescendo di dubbi e ripensamenti, ma anche di gestualità ed espressività e di cambio di registro vocalico a volte, prima più controllata poi via via sempre più vibrante. Un mutamento interpretativo accompagnato con pazienza dall’attrice che modula voci, gesti ed espressioni sapientemente, senza fretta. È questa l’opera in cui le potenzialità di Gumina, anche quando lascia parlare i gesti, risaltano visibilmente rispetto alla dimessa Ofelia di Amleto dove erano però emersi i punti di forza di una recitazione accurata e meticolosa.
GRAZIE!
AMLETO STANZE SEGRETE: TRA FOLLIA E VENDETTA
Published: 09 Settembre 2014
Scritto da Antonio Mazzuca
Un Amleto ansimante e rabbioso è quello che ci regala Carlo Studer al Teatro Stanze segrete fra giochi di specchi e ambientazione dark
@GufettoTeatro
Si contrappone in questo, alla purezza di Ofelia interpretata con grande intensità da Federica Gumina che da il meglio soprattutto nel momento della pazzia della sua Ofelia, inconsapevole vittima dell’odio e della follia altrui.
13.10.2014 -RECENSIONE di Carlo Guglielmo Vitale
THOUGHTS ROCK - Cinque gli attori in scena, tutti molto bravi, in particolare evidenziamo: Carlo Studer, regista, che interpreta con convinzione il protagonista e l'attrice Federica Gumina, che interpreta con grandi capacità sia il personaggio maschile di Laerte che quello femminile di Ofelia sua sorella. Sottolineiamo l'uso sapiente delle luci e dei diversi stacchi di buio, che fanno non solo da transizione tra scene diverse, ma anche da elemento portante di alcuni momenti.
Partecipo con FIORE DI FANGO: PERFORMANCE DI TEATRO DANZA E TANGO ARGENTINO all’interno dello spettacolo “A PIEDI NON INQUINO” di Monsieur David
Recensione di Tea Milani- Riflessi al margine
2 giugno 2015
Ho trovato anche molto interessante, la parentesi che ha visto Federica Gumina esibirsi in una danza espressiva e raffinata, quale è il tango. Tanto più complicata dal danzare da sola. Il tango è fatto di corpi che si toccano e di fiducia reciproca: la ballerina per farsi guidare deve abbandonarsi ed appoggiarsi al suo partner completamente. Ma qui, essendo lei sola, ha trovato una dimensione tutta sua, introversa ed intimista di intendere questo ballo.
Riccicapricci! scritto e interpretato da Federica Gumina - regia di Paolo Orlandelli
Recensione di Pamela Del Grosso
Rivista Vetrocemento- informazione e critica su arte, cultura e eventi
La poliedrica personalità di Federica Gumina
Il battesimo del fuoco Federica Gumina ha scelto di farlo presso il Teatro Manhattan, minuscolo salottino retrò incastonato fra i vicoli del quartiere Monti a Roma. Pochi posti e spazio gremito per la prima rappresentazione teatrale di Riccicapricci! con la regia di Paolo Orlandelli. Un buio luce ed eccola apparire in scena, occhioni sgranati, una montagna di riccioli neri e un orsacchiotto fra le mani: è una bambina che parla con la sua mamma. Fa domande semplici, esige risposte agli epocali quesiti dei piccoli, quel tipo di interrogazioni che il mondo dei grandi, spesso impreparato e disattento, liquida sommariamente.
La cifra stilistica che Federica Gumina, autrice e interprete del testo, ha utilizzato per l’intera rappresentazione è stata la doppia lettura della realtà: indagare l’ovvio esasperandolo in chiave comica. Un canovaccio perfettamente strutturato con tutti i crismi del teatro di rivista di altri tempi.
Il cruccio della bambina è tutto nei suoi capelli, tanti, gonfi, crespi. Troppo ingombranti, talmente ingombranti da impedire la chiusura del cofano della macchina. Le risposte della mamma, voce fuori campo dell’attrice stessa, sono vaghe e vagamente rassicuranti: figurarsi se i capelli sono un problema! E a questa età poi! È la storia del fardello di insicurezze che si cominciano ad affastellare in noi fin da piccoli, quando le sproporzionate dimensioni della realtà rendono il confronto con il mondo faticoso, spiacevole, buffo. Una piccola tragicommedia.
Federica Gumina sfoggia eccezionali doti di trasformismo passando da un personaggio all’altro. Segue il filo rosso della sua personalissima indagine all’interno di una illogica quotidianità che deve necessariamente passare per normale, complici i tempi, i ritmi, il retaggio culturale imposto da modelli errati ed esagerati, talmente surreali da divenire macchiette. E l’attrice ci gioca perché conosce la materia a menadito e azzarda riletture canzonatorie, divertendo e divertendosi, con acume e perspicacia. I cambi di scena avvengono in luce; la solista-trasformista non perde mai di vista il pubblico, lo catalizza con una mimica facciale pregna di gigioneria e ammiccamenti che sortiscono l’effetto sperato.
Le parrucche sono il tratto distintivo di ogni differente personaggio. Federica ne indossa una rossa e diviene la donnina del prurito, una poveretta che si gratta senza sosta mentre racconta la propria storia, una concatenazione di sfortunati eventi costellati da un marito fedigrafo, un frigorifero vuoto e una corsa in ospedale. E anche qui una domanda epocale: incapaci di reagire ai soprusi della vita, deleghiamo al nostro corpo il compito di “parlare”, fosse anche per mezzo di un pizzicore?
Una parrucca bionda trasforma l’attrice prima nella Dottoressa Lina Penice, ammiccante, eccessiva, un esilarante e dichiarato stereotipo, un involontario omaggio alla Edwige Fenech della commedia sexy. Poi il registro cambia e irrompe sulla scena un’estemporanea insegnante di danza, un mix di cafonaggine e argomentazioni spicce rese da un colorito dialetto romano che l’attrice riesce a padroneggiare senza mai scivolare nell’esagerazione, pur sollevando grande ilarità e apprezzamento nel pubblico. Perché, se è vero che quotidianamente capita di imbattersi in persone che improvvisano un mestiere, raramente capiterà di imbattersi ancora in una insegnante che educa le piccole allieve al grand jeté come se saltassero una merda di cane!
Un caschetto di capelli bianchi trasformano Federica Gumina in una vecchietta sprint, che armeggia sulla scena con un sacchetto di arance e si chiede come sia possibile condannare un ragazzino di 54 anni, quel suo caro figliuolo che senza intenzioni malvagie ha svaligiato una banca. Che mondo!
Chiude la saga la bambina riccia di inizio spettacolo; ormai adulta e libera di poter disporre della propria chioma, si rende conto che lisciarsi i capelli per uniformarsi al mondo è stato un grave errore. Che l’essere al di fuori del coro non è necessariamente un male; è altresì un valore aggiunto per coscienze sopraffine.
Uno spettacolo denso di testo e rimandi interpretativi, sempre godibile e mai prolisso. All’autrice-interprete il merito di aver saputo tener le fila di tante sfaccettate personalità, con garbo, maestria e perfetta presenza scenica.
“FRIDA AM I”, la dedica della Compagnia Atacama alla grande artista
Di: Martinica Ferrara | pubblicato il: 23/07/2016 | categoria: DANZA
Tre giorni di rassegna per lo spettacolo presentato dalla Compagnia Atacama “FRIDA AM I”, ideato, diretto ed eseguito da Federica Gumina, con il supporto coreografico di Patrizia Cavola.
Le idee e gli echi delle ricche formazioni delle due autrici trovano in questa pièce di Teatro danza un intreccio di pregevole equilibrio al Teatro Tor Bella Monaca, che vanta una interessante produzione di Prosa e Danza (vedi sotto il Calendario). Il volto di Frida Kahlo rivive tra gli spettatori nel viso di Federica, con il suo ardore, la sua sofferenza: quel volto stoico che non chiede pietà o compassione, ma ci osserva, penetrante e meravigliosa dagli occhi dei suoi quadri, e ancora dalle immagini dei suoi quadri e dalle infinite ripetizioni che hanno fatto di Frida Kahlo un’icona.
Questo spettacolo si colloca effettivamente in quella che potremmo dire una febbre da Frida, che è seguita all’importante mostra alle Scuderie del Quirinale di pochi anni fa. In tanto entusiasmo è facile che si perdano le complessità di un’arte tanto intensa a favore dei contenuti più facilmente riconoscibili e ripetibili. Ma la risposta a questo “rischio dell’icona” nello spettacolo la vediamo già nelle prime scene: una Frida che più che una donna o una danzatrice ci si presenta a volte come un ninnolo.
Una bambola che si muove e gira nei meccanismi di un carillon aggraziato e terribile, dove risuonano danze, specchi e corpi infranti. La scelta musicale cade infatti su brani che spaziano dal folklore messicano, con la voce struggente di Chavela Vargas, al tango argentino (stile molto amato dalla danzatrice) al classico, intervallato e “rotto” dal rumore di vetri infranti, ricordandoci la condizione esistenziale della pittrice messicana, che ci dice: “Non sono malata, sono a pezzi”.
In generale, lo spettacolo non si perde nella ricerca di una traduzione letterale del significato delle parole di Frida, che rivivono in scena, piuttosto si articola in una serie di sottili echi che passano per le poetiche del movimento in relazione alla pittura. Spesso si ha la sensazione che il corpo della ballerina galleggi nella musica, anche nei momenti di climax, e ci torna in mente il volto penetrante e austero della pittrice nei suoi autoritratti, avvolta da fiori e animali così come da incidenti, sangue e altri simboli carichi di dolore.
Un’estetica che non si cura di essere sempre misurata e bella, ma nemmeno forzatamente brutta, che ci parla della forza di una donna che ha esplorato coraggiosamente la sua interiorità ignorando i canoni e creandone di nuovi, cantando un amore universale, panteista, per la natura, per l’Essere, per Diego Rivera. Una perla di equilibrio tra danza, parti mimate e recitate della compagnia Atacama.
Grazie